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Recensione: YVES CONGAR, Église et papauté. Regards historìques

 
 
 
 
Foto Chrupcala Laslaw Daniel , Recensione: YVES CONGAR, Église et papauté. Regards historìques , in Antonianum, 72/1 (1997) p. 136-143 .

Il volume che presentiamo contiene una raccolta di articoli e di studi del com­pianto card. Congar, scomparso alcuni mesi fa, e apparsi precedentemente su diver­se riviste o in opere collettive. In maggioranza sono stati scritti negli anni settanta­ottanta, uno è dell'anno 1961 ed un altro del 1953. Nella presente riedizione, i con­tributi dell'A. non sono distribuiti secondo l'ordine cronologico di comparsa, ma se­condo un criterio tematico, mentre le singole problematiche vengono situate nel lo­ro contesto storico (dalla riforma di Gregorio VII fino alla vigilia del concilio Va­ticano II). In questo modo, i dodici capitoli del volume acquistano la loro omogeneità riuscendo ad offrire un'ampia, benché ovviamente incompleta, visione del rapporto tra la Chiesa e il papato.

La grande competenza del padre Congar, soprattutto nel campo ecclesiologi­co, è nota. I suoi numerosi studi, spesso di carattere pionieristico, hanno costituito, e lo sono tuttora, un valido punto di riferimento nella discussione teologica. Tra l'altro, la dignità cardinalizia alla quale era stato elevato (20 ottobre 1994) è un'e­spressione di riconoscenza e di gratitudine per l'opera svolta a servizio della Chiesa; basti pensare soltanto all'influsso che ha esercitato sul concilio vaticano II [cf. J. Fa-merée. «Aux origines de Vatican II. La démarche théologique d'Yves Congar», Ephemerides Theologicae Lovanienses 71 (1995) 121-138]. La presente raccolta, limitata ad un ambito ben specifico, conferma questo giudizio generico. Senza dilun­garci troppo sulla qualità degli studi, come sempre distinguibili per il rigore scien­tifico, per la chiarezza espositiva e una documentazione invidiabile, presentiamo brevemente il loro contenuto.

I.  Le pape, patrìarche d'Occident. Approche d'une réalité trop négligée (pp. 11-30). La distinzione tra il potere patriarcale del vescovo di Roma e l'autorità primaziale del papa è un dato incontestabile. Molto presto però i due poteri, rispet­tivamente del patriarca e del capo della Chiesa universale, sì sono confusi nella per­ sona del papa, facendo prevalere il secondo sul primo. Questo fatto, di natura po­litica all'origine (assicurare l'unità dell'impero), ha influito sulla vita ecclesiale del­l'Occidente: la chiesa locale di Roma ha incorporato pian piano tutte le chiese par­ticolari, unificate nelle forme e negli usi a quella romana. L'antica struttura dellachiesa latina, unità nella pluralità, è stata così infranta.

Oggi, grazie all'ecclesiologia del Vaticano II, basata sul principio della comu­nione e della collegialità, si richiede una ricomprensione del vero significato di due poteri distinti. È vero che il papa svolge in modo unico una funzione universale; è il custode della comunione e della fede in tutta la Chiesa. Questo non significa tut­tavia che l'indiscutibile dignità della chiesa locale di Roma debba sopprimere la li­bertà d'azione (in diversi campi) delle chiese particolari e dei suoi capi.

L'originalità e l'intuizione teologica sono le caratteristiche tipiche degli studi del padre Congar. In molti campi egli è diventato un vero precursore. In effetti, il padre A. Garuti, partendo dallo spunto congariano, ha cercato di ristudiare il pro­blema del potere in Studio storico dottrinale («Collectio antoniana» 2, Bologna 1990); tuttavia, la discussione sembra tutt'altro che terminata, come dimostra il suo recente articolo «Ancora a proposito del Papa Patriarca d'Occidente», Ant 70 (1995) 31-45. È solo uno tra i tanti esempi della fecondità e dell'attualità degli studi del padre Congar.

II. Romanité et catholicité. Histoire de la conjonction changeante de deux dimen­sione de l'Eglise (pp. 31-64). Come recita il sottotitolo di questo studio, romanità e cattolicità sono le due dimensioni della Chiesa, unite e interdipendenti. Per una giusta comprensione è necessario precisare prima il significato dei termini. «Catto­
lico» può essere inteso in due sensi: ortodosso (vero, autentico) e universale (esten­sione geografica). Se questo nome caratterizza in senso pieno la chiesa latina, an­che le altre confessioni cristiane però, che oggi pretendono di essere chiamate cat­toliche, partecipano a diverso titolo della cattolicità presente nella chiesa latina.

Con l'aggettivo «romana» si designa in primo luogo la chiesa particolare di Roma. Molto presto però i vescovi di Roma hanno esteso questo nome sulla Chiesa universale. La chiesa di Roma, in quanto capo e madre di tutte le chiese, condensa in sé l'unica Chiesa di Cristo e quindi l'intera assemblea dei fedeli, partecipe della fede apostolica della chiesa di Roma, ha il diritto di chiamarsi «romana». Un tem­po, l'aggettivo «romana» veniva considerato persino una nota della Chiesa, insieme alle altre quattro. Oggi il termine serve soprattutto per caratterizzare la chiesa la­tina: cattolica romana. Nonostante questa riduzione, bisogna riaffermare che la chiesa cattolica (universale) è «romana» nel senso pieno del termine, perché il pri­mato della chiesa e della sede di Roma fa parte integrante della sua struttura e per­ché questa qualità è legata con il luogo geografico di Roma.

A livello dogmatico quindi, la chiesa cattolica resta sempre «romana», ma non può essere più tale a livello storico-sociologico o descrittivo («romanismo» in quanto espressione della supremazia della chiesa di Roma su tutte le altre). Benché la distinzione tra i due livelli risulti talvolta difficile, tuttavia occorre precisare che, co­me il primo non si realizza concretamente senza il secondo, così pure il secondo rappresenta soltanto una forma contingente del primo, soggetta perciò ai cambia­menti. La messa in pratica di questa distinzione si rivela molto vantaggiosa per la vita ecclesiale e, anche, per il dialogo ecumenico.

III. <Jus divinum» (pp. 65-80). L'articolo tenta di definire il significato esatto dell'espressione «diritto divino». Essa è piuttosto ambigua. In primo luogo designa le realtà che sono state istituite da Dio, una volontà di Dio riconosciuta dalla Chie­sa oppure un mandato ricevuto da Cristo. Solo in un secondo luogo, questo «diritto divino» presente in una concreta realizzazione storica viene riconfermata in senso giuridico-legale. A livello pratico ciò vuol dire che ad es. il ministero di primato continuato nei successori di Pietro è di «diritto divino», ma che questo diritto può essere percepito soltanto nella sua realtà concreta, ossia lo spirito del diritto divino (l'istituzione di Cristo) si incarna in un corpo storico in sui spesso l'umano sovrasta il divino.

IV. Les Fausses Décrétales, leur reception, leur influence (pp. 81-92). Si tratta di una nota particolare che presenta l'opera in tre volumi di H. Fuhrmann (Einfluss und Verbreitung der pseudoisidorischen Fàlschungen, von ihrem Auftauchen bis in die neuere Zeit, Stuttgart 1972-1974). Le prime tracce dell'impegno delle False Decre-talia dello Pseudo-Isidoro, una collezione pseudoepigrafa medioevale delle leggi ec­clesiastiche, si hanno nella seconda metà del IX sec. Da questo momento in poi la collezione verrà largamente utilizzata e servirà per la formazione della scienza ca­nonica, soprattutto per quanto riguarda la questione dei processi. I falsi isidoriani hanno anche fortemente contribuito - benché in una misura relativamente minore da come si pensava - all'accrescimento del giuridismo nella teologia del papato, of­frendo alla riforma gregoriana un necessario appoggio giuridico.

V. La place de la papauté dans la piété ecclésiale des réformateurs du XI siede (pp. 93-114). L'ecclesiologia della riforma gregoriana è dominata totalmente dal primato romano dipendente dal potere papale e viene formulata in maniera giuri­ dica. Secondo la concezione dei riformatori, la chiesa di Roma rappresenta la Chie­sa universale, a motivo del suo carattere primaziale. Il primato della chiesa romana non si fonda unicamente su un fatto di natura giuridica, ma viene visto in chiave dog­matica: come una verità di fede inerente alla struttura della Chiesa voluta da Dio(l'istituzione immediata del Signore). Madre, capo, fonte, fondamento, sono solo alcuni titoli che qualificano la chiesa romana ed esprimono il suo rapporto di supre­mazia rispetto alla Chiesa universale. Su questo sfondo il potere papale, più che un fatto canonico, entra a far parte della definizione della chiesa, occupandovi un po­
sto predominante. E mentre il papa può fare tutto nella Chiesa, senza di lui non può essere fatto niente di valido. Soltanto a lui spetta un potere assoluto e senza limiti, egli è la fonte e la norma di qualunque legge. Obbedire a Dio, significa ob­bedire alla Chiesa, ossia obbedire al papa, e viceversa.

Il famoso Dictatus papae di Gregorio VII sta alla base di questa nuova conce­zione ecclesiologica, fortemente giuridica, che si esprime nella sequenza: Cristo -Pietro - papa - Chiesa. Il diritto canonico ha risposto alle esigenze della riforma gregoriana, rafforzando a livello giuridico l'indipendenza del potere ecclesiale da quello civile (imperiale) e indicando nella sede romana la presenza di un potere di tipo monarchico che concerne tutta la Chiesa. 11 centralismo del papa e il suo influsso su ogni aspetto della vita quotidiana della chiesa diventano così il fondamen­to di una nuova forma di governo ecclesiale: il papato.

VI. L'ecclésiologie de saint Bernard (pp. 115-185). Questo lungo studio rappre­ senta un ben riuscito tentativo di sintesi della concezione della Chiesa avuta da s. Bernardo (1115-1153). Sulla scia dei Padri, l'abate di Clairvaux vede la Chiesa come una continuazione dell'economia divina, iniziata nell'AT e realizzata nell'Incarna­
zione. La Chiesa fa parte del disegno eterno di Dio; anche se incomincia sulla terra, la sua origine rimane celeste: solo con la risurrezione finale la Chiesa raggiungerà la sua forma perfetta.

Nell'ecclesiologia di Bernardo è fondamentale l'immagine della sposa, applica­ta sia alla Chiesa che all'anima del credente; in questo egli segue l'interpretazione del Cantico dei Cantici fatta da Origene. Stranamente manca in lui l'applicazione mariana dell'immagine della sposa, come anche il parallelo Maria-Chiesa. Non sen­za motivo; infatti, Bernardo vede Maria al di sopra della Chiesa, come una media­trice tra Cristo e la Chiesa. Nel senso pieno soltanto la Chiesa - che possiede la pie­nezza dei doni divini - è la vera Sposa, mentre l'anima individuale non può esserlo se non in quanto facente parte della Chiesa. Di conseguenza la Chiesa, più che un mistero oggettivo e traspersonale, è una realtà costituita da persone concrete, ani­ma sante, una comunità di uomini che aderiscono a Dio e l'amano, peccatori che si sforzano di riconquistare la santità perduta. Contrario all'idea dominante nel suo tempo (ecclesiologia dell'istituzione), per Bernardo la Chiesa è una comunità for­temente spirituale, monastica, che si realizza nella ricerca di santità e dell'unione con Dio.

Bernardo divide la Chiesa terrena in tre categorie: prelati, religiosi consacrati, laici sposati. Il laicato però, diversamente da come lo intendiamo oggi, è costituito essenzialmente dai principi cristiani. Il loro potere regale deve essere messo a ser­vizio della Chiesa, rivestita del potere sacerdotale. I due poteri («le due spade») so­no distinti e autonomi, ma devono unirsi insieme (come sono uniti nella persona di Cristo dal quale derivano) per mantenere la pace e la salvezza.

La Chiesa-Sposa è custodita dagli «amici della Sposa»: i prelati. È il papa, in particolare, che deve prendersi cura della Sposa lungo il suo pellegrinaggio, duran­te l'assenza dello Sposo. Egli possiede un'autorità assoluta, la pienezza dei poteri su tutta la Chiesa. L'autorità, per Bernardo, non significa il dominio, ma il servizio. E chi occupa un posto elevato nell'ordine del potere spirituale, deve anche diven­tare lui stesso un uomo spirituale. Senza togliere nulla al primato papale, Bernardo rivaluta però nel contempo il potere dei vescovi, anch'essi considerati vicari di Cri­sto e rivestiti di una giurisdizione proveniente direttamente da Dio. L'ordine gerar­chico della Chiesa è stato istituito da Dio e quindi il tentativo di limitare l'autorità e la libertà vescovile dal potere papale è da considerarsi un abuso. La centralizza­zione non è negata da s. Bernardo, ma semplicemente considerata come eccessiva. Altri eccessi, da lui combattuti, sono: l'evoluzione della Chiesa in impero, il passag­gio dal ministero apostolico al dominio e la trasformazione della chiesa romana in una corte di tipo imperiale. In questo modo, pur seguendo la linea della riforma gregoriana, di fatto però Bernardo si rivela molto originale e propone una maniera diversa di vedere il mistero ecclesiale.

VII. L'Eglise et l'Etat sous le règne de Saint Louis (pp. 187-209). In un'epoca (XIII s.) per la quale è ancora difficile fare una distinzione tra la Chiesa e lo Stato, nel senso moderno dei termini, l'opera di s. Luigi IX si presenta molto importante.

Ben conosciuto come un santo ministro di giustizia e un fedele servitore della Chie­sa, il re francese ha anche contribuito a stabilire un'autonomia dell'ordine tempo­rale o laico rispetto al potere ecclesiale.

Il ministero regale poggia, secondo s. Luigi, sul mistero cristologico. In quanto partecipe della regalità di Cristo, il re è chiamato a far risplendere nella sua perso­na l'immagine di Dio e nella sua azione l'agire divino. Egli deve essere un protet­tore della Chiesa. Ma il rispetto e l'amore per la Chiesa non hanno ostacolato s. Luigi dal prendersi cura degli interessi dello Stato, affermando in questo modo un principio d'indipendenza tra le strutture laiche del regno e quelle ecclesiali. «Egli ha tentato di fare quasi l'impossibile, ossia unire o perlomeno armonizzare gli estremi e le forze nemiche: il papa e l'imperatore, le crociate e la missione, uno stile di vita da frate mendicante e i doveri della dignità regale. Non è riuscito totalmente, se non a livello di questa specie di equilibrio fondato su un amore assoluto, che ha fatto di lui un santo» (pp. 208-209).

Vili. «Ecclesìa» et «populus (fidelis)» dans l'ecclésiologie de saint Thomas (pp. 211-227). Tra l'Ecclesia e il populus può regnare, secondo il punto di vista, un rap­porto d'identità o di distinzione. Sulla base della Scrittura la tradizione ha svilup­pato il tema dell'identità: la Chiesa non è altro che il popolo di Dio nella sua con­dizione di cristianità. Per s. Tommaso questa identificazione si sviluppa in due di­rezioni: la linea dogmatica e la linea storica. Nella prima, il rapporto d'identità vie­ne fondato sulla vita sacramentale (fede, battesimo ed eucaristia), sulla visione so­ciale della «città» e sulla vita di costumi (la domenica, i digiuni prescritti). Nella se­conda linea, storica, l'identificazione tra la Chiesa e il popolo fedele poggia sul fatto che nel Medioevo i due designano in maniera indistinta sia la Chiesa, sia la so­cietà in quanto costituita dai battezzati. Ciò non era privo di ambiguità; infatti, il popolo fedele o cristiano poteva indicare il popolo facente parte della Chiesa sotto l'autorità del sacerdozio oppure l'insieme dei cristiani governati dai principi. Ben­ché influenzato dal suo ambiente, Tommaso è riuscito comunque a distinguere le due autorità e di conseguenza i rispettivi ambiti.

Tommaso distingue un momento necessario, essenziale («Ecclesia») e un mo­mento contingente, storico («populus») del mistero soprannaturale. La nozione di popolo implica l'idea di sottomissione ad un governo e alle leggi. Il populus assume perciò l'aspetto di un'organizzazione giuridica, è un insieme dei fedeli in quanto di­stinti dai ministri che li governano. L'Ecclesia, dall'altra parte, si situa su un piano di grazia e di vita teologale. Ne consegue allora che esistono due concetti di Chiesa: la prima essenziale, corrisponde alla Città di Dio (Agostino) o alla comunità dei santi, rimane sempre una essendo fondata sulle virtù teologali, sulla grazia e l'ina-bitazione dello Spirito santo; la seconda accidentale, un organismo storico, visibile e giuridico, è molteplice dal momento che si realizza in un popolo di Dio diviso tra vari regni, province e città.

IX. La «reception» corame réalité ecclésiologique (pp. 229-266). Il tema della ri­cezione interessa tanto l'ecclesiologia quanto l'ecumenismo. È «un processo per il quale un corpo ecclesiale fa propria una determinazione che esso non si è dato da se stesso, riconoscendo, nella verità promulgata, una regola che conviene alla sua vita» (p. 230).

La storia contiene un grande numero di fatti della ricezione (come pure quelli della non-ricezione). Numerosi sono i casi di ricezione in materia dottrinale: le ve­rità di fede definite dai concili e il riconoscimento della loro «ecumenicità», la formazione del canone delle Scritture, lo scambio delle lettere sinodali. Nella liturgia, certe forme si sono diffuse o si è giunti alla loro unificazione proprio per via della ricezione, a volte assai contrastata. Anche per quanto riguarda il diritto e la disci­plina bisogna evocare il principio della ricezione come base di accettazione delle leggi.

Si è tentato di giustificare il fatto della ricezione attraverso diverse teorie. La «teoria dell'accettazione delle leggi» si pone sul piano giuridico e presenta due va­rianti: la prima proclama che l'accettazione comunitaria rappresenta un elemento necessario perché si abbia veramente una legge; ciò comporta l'atto istituente, la promulgazione, l'approvazione con la pratica del gruppo interessato. La seconda variante, di carattere quasi giuridico, per non dire casuistico, dichiara che il legisla­tore non può obbligare all'osservanza di una legge coloro che la escludono; la legge potrebbe essere rigettata, se la comunità avesse le ragioni contrarie. La «teoria dei gallicani» lega la ricezione ad una concezione di potere apostolico opposto all'as­solutismo e al dominio di tipo papale. L'autorità ha una finalità ecclesiale, per cui non si può ammettere un potere dispotico che non tenga conto del bene delle chie­se locali, dei loro pastori e dei sentimenti dei credenti.

La nozione di ricezione non ha certamente beneficiato dal fatto di essere co­struita e presentata su un piano di diritto costituzionale, come una teoria giuridica. Eliminata o persino rigettata nel momento in cui si è imposta la concezione pira­midale della Chiesa, come una massa totalmente determinata dal centro, solo con la recente riscoperta della teologia della comunione e delle chiese locali, della pneumatologia e della tradizione si ritorna al senso originario della ricezione. Co­me dimostrano gli esempi della storia, esistono due vie d'accesso all'unanimità nella Chiesa: l'obbedienza e la ricezione o il consenso. A seconda del modo di concepire la Chiesa, come una società sottomessa ad un'autorità monarchica oppure come una comunione di chiese, si può avere l'una o l'altra via di accoglimento della fede. La congiunzione delle due rappresenterebbe l'ideale. Per fortuna, è quanto spesso è successo. Le decisioni di un'autorità (papa, concilio, vescovo) che prima non sono state accolte, pur conservando fin dal principio tutta la loro validità giuridica, solo in seguito sono state recepite da una determinata comunità o gruppo ecclesiale, tra­sformandosi in una forza di vita e contributo costruttivo.

X. Les normes de fidelità et d'identité chrétìennes à travers l'histoire de l'Eglise (pp. 267-281). La confessione di Gesù Cristo come Signore è, fin dall'epoca evan­gelica, una referenza essenziale d'identità e di fedeltà cristiana. Nella prima patri­stica la garanzia della verità è costituita dalla predicazione e dalla fede della Chiesa. In seguito e fino all'alto Medioevo questi principi o norme permangono, ma con qualche particolarità: fede della Chiesa viene ritenuta soprattutto quella formulata nei testi (Scrittura, concili, Padri); la comparsa di eresie e l'organizzazione liturgi-co-canonica della Chiesa hanno comportato la necessità della creatività (nuove vie di esplorare il mistero) e della decisione per una determinata verità di fede. Con la riforma gregoriana il ruolo del papato diventa fondamentale; il papa appare come un legislatore sovrano, per cui essere cattolico significa obbedire alla sua autorità e conformarsi alla chiesa romana; essere eretico, viceversa, vuol dire, opporsi all'au­torità papale. Col Tridentino viene introdotta un'altra norma: il «sensus Ecclesiae» che si riferisce al contenuto di fede custodito nella Chiesa. Questa nozione riceve dal concilio Vaticano I un altro significato: «sensus Ecclesiae» non è più il consenso nella Chiesa, ma il senso fissato dal magistero contro un giudizio privato.

Secondo Y. Congar, non esiste un solo criterio. La scrittura, la tradizione, il magistero, la Chiesa sono tutti importanti. È «il fascio di tutti questi criteri che de­ve assicurare una fedeltà vivente, un'identità nella piena storicità delle nostre vite e delle nostre conoscenze. La pienezza della verità è legata ai mezzi che Dio ci ha da­ti, affinché con il loro aiuto possiamo vivere nella totalità l'essere cristiano» (p. 281).

XI. Pour une histoìre sémantique du terme «magisterium» (pp. 283-298). Il senso generale di «magisterium» concerne fondamentalmente una situazione di autorità o di direzione. Da ciò è passato ad indicare l'attività di insegnamento in un deter­minato campo (precettore, maestro, professore, dottore, ecc.). Spetta solo a Dio, in
quanto Maestro supremo, il magistero assoluto, mentre gli uomini lo esercitano in forma ministeriale. A motivo di uno stretto legame tra il «magisterium» e l'insegna­mento, molto presto si è cominciato ad impiegare il vocabolo magistero nel sensooggettivo, per indicare cioè il contenuto dell'insegnamento, una dottrina.

Nella sua accezione attuale, l'espressione è piuttosto recente. » stata introdot­ta dalla teologia del XVIII sec. e soprattutto dai canonisti tedeschi del XIX sec. Il «magisterium» indica così un corpo gerarchico dei dottori, incaricato di esercitare con autorità nella Chiesa la funzione ufficiale d'insegnare.

XII. Bref historique des formes du «magistère» et de ses relations avec les docteurs (pp. 299-315). L'articolo presenta a grandi linee l'evoluzione della funzione magi- steriale nella Chiesa e i rapporti vigenti tra i pastori e i dottori. Il magistero esiste da sempre nella Chiesa ed ha conosciuto lungo i secoli varie trasformazioni formali.
Il suo ruolo è consistito nel predicare, insegnare e confrontare le varie interpreta­zioni con la fede della Chiesa. Questo compito è ricaduto in ugual misura sui teo­logi e sui pastori.

In epoca patristica non esisteva ancora una separazione né un'opposizione netta tra il corpo reggente e il corpo docente. Ciò era dovuto al fatto che le due ca­tegorie praticavano una teologia similare, basata sulla Scrittura e con riferimento al senso unitario della Rivelazione; molto spesso poi i vescovi più noti erano pure ot­timi teologi. Il Medioevo, con l'evolversi di una forma scientifico-filosofica dello studio, porta a distinguere tra un insegnamento di tipo dottorale scientifico e un in­segnamento di tipo pastorale. Con la comparsa dei primi centri di ricerca (le uni­versità), nasce anche uno stuolo di dottori. Il loro ruolo, oltre alla funzione d'inse­gnamento scientifico, comprendeva anche l'autorità di decisione o di imposizione. Generalmente tra i teologi di mestiere e i pastori vigeva un rapporto di collabora­zione. A partire dal concilio di Trento in poi si osserva un progressivo assoggetta­mento dei dottori al servizio dei pastori che rivendicano a sé l'autorità magisteriale. Il ruolo dei teologi si riduce ad un insegnamento presentato e controllato dal Ma­gistero.

Un nuovo modo di considerare la funzione magisteriale e la figura del teologo esigono oggi una riconsiderazione del rapporto tra i dottori e i pastori, come pure il carisma proprio del teologo. Come tutta la vita della Chiesa, anche il «magistero» è un servizio differenziato e organicamente articolato. Ne sono responsabili pure i teologi il cui lavoro, «sempre legato alla fede trasmessa e definita, non può ridursi ad un semplice commentario degli insegnamenti pontifici» (p. 314).

La raccolta degli articoli che mi sono limitato a sintetizzare, si presenta molto utile e preziosa. È stata, senz'altro, una buona idea riunire insieme vari studi del card. Congar, sparsi in diversi luoghi e non sempre di facile accesso, in parte dimenticati ma ancora validi. Per gli specialisti, in primo luogo, queste «ossa umiliata» (come sono state chiamate dagli editori, cf. Prefazione) potrà rendere un grande servizio nella ricerca. Sia gli studiosi dell'ecclesiologia, sia quelli che si occupano della storia della chiesa vi troveranno un abbondante materiale che, nonostante il passare degli anni, non ha perso nulla del suo valore e della sua attualità. In questo modo si potrà anche apprezzare meglio il rinnovamento dell'ecclesiologia del XX sec. e la grande svolta avvenuta con il concilio Vaticano II.

Il rapporto tra la Chiesa e il papato è un tema molto dibattuto, soprattutto nei tempi più recenti. Avere in mano gli studi approfonditi su questo argomento, è per­tanto un'esigenza imprescindibile e ciò non solo per una giusta comprensione del nesso che lega il papato con la Chiesa, ma anche in vista del dialogo ecumenico. È noto, infatti, che l'istituzione del papato non da tutti viene guardata con la stessa visuale e da alcune parti è ritenuta persino un «ostacolo» sulla strada dell'unità ec­clesiale. La chiesa cattolica, riaffermando la sua posizione in merito, deve saper ri­dare al papato il vero volto che lungo la storia, nel bene o nel male, è stato spesso ricoperto con delle incrostazioni, non sempre felici o necessarie. Gli studi del card. Congar, frutto di una seria investigazione di natura prevalentemente storica, con­tribuiscono a far conoscere meglio il presente a partire dal suo passato.



 
 
 
 
 
 
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